Alberto Clemente Cassio e i funghi di Borgo Val di Taro per il Duca Antonio Farnese
Antonio Farnese (1679-1731) dal 26 febbraio 1727 è Duca di Parma e Piacenza. Figlio di Ranuccio II Farnese, succede al fratello Francesco e nel settembre del 1728 accoglie un’ambasciata di Borgo Val di Taro che gli porta una magnifica cesta piena di dorati boleti, un omaggio che può essere meglio compreso tornando indietro nel tempo, a Borgotaro e a Parma.
Nel 1551 Borgo Val di Taro, elevato a dignità di Principato con Bardi e Compiano, era entrato a far parte dello Stato Landi, ma i borgotaresi subiscono tali e tante angherie e esosità da parte dei nuovi principi che nel 1578 si ribellano e si danno nelle mani di Ottavio Farnese, duca di Parma, nominandolo loro principe entrando così nel Ducato Farnesiano.
Nel 1727 Duca di Parma è Francesco Farnese (1678-1727), fratello primogenito di Antonio, che da giovane compie numerosi viaggi d’istruzione e con fini politici, ma soprattutto di piacere, non mancando di frequentare, tra l’altro, il Carnevale di Venezia del 1700, quando rientra a Parma, dopo tre anni d’assenza e aver sperperato oltre due milioni di lire parmigiane. Qui Antonio inizia un lungo, spensierato periodo parmigiano, nel quale si dedica alle sue occupazioni preferite: la buona tavola, il gioco d’azzardo e la caccia, per la quale abbellisce la residenza di Sala Baganza con un ricco padiglione.
Nel 1727 e precisamente il 26 febbraio, il duca Francesco, all’età di quarantotto anni, mentre si trova nella vicina Reggio per prendere parte alle feste di un carnevale più fastoso di quello parmigiano (ridimensionato da una politica di austerità imposta dalla situazione finanziaria del Ducato), muore improvvisamente, lasciando Antonio erede e quindi nuovo Duca di Parma, con tutti i compiti e gli incarichi.
Tornando alle motivazioni dell’omaggio di funghi di Borgotaro al duca Antonio Farnese interroghiamo a Parma nel 1728 il canonico pontificio Alberto Clemente Cassio (1669-1760), illustre personaggio borgotarese, salito in fama a Roma, che sta scrivendo una Istoria di Borgo Val di Taro che riguarda insieme la mutazione dei domini in Italia e Lombardia sotto i Pontefici, i Re gli Imperatori d’occidente da Carlo Magno e come molte città si fecero Repubbliche, esposta per A.C. Cassio per gli ill.mi signori Consoli e 24 Decurioni del Magistrato in esso Borgo.
Reverendo Canonico, quali sono i motivi per i quali Lei ha spinto la comunità di Borgotaro a omaggiare il Duca con i funghi del luogo?
Nella quiete autunnale di Borgotaro sto scrivendo una mia Istoria del luogo osservando che “se nella estate è ricamato da rosseggianti saporite fragole… di primavera partorisce la terra di questi monti, odorose prugnole e nell’autunno indorato Boleto, rare volte nocivi perché la declività del terreno non li comunica maligno umore; e gli uni egli altri son di non tenue proveccio alle donne e camperecci che li raccolgono e vendono e conditi col sale li trasmettono ad altri Paesi…” e subito il mio pensiero corre a considerare come alla Corte ducale di Parma poco presenti, se non assenti sembrano essere i funghi di Borgotaro. Diversi ne sono i motivi che ben conosco, cominciando dalla scarsa considerazione che si dà ai funghi, nei nostri tempi ma soprattutto in quelli passati. A metà del secolo scorso il bolognese Vincenzo Tanara (1591-1653) nel suo famoso libro L’economia del cittadino in villa (1644) ricorda che “non si può far le nozze con i funghi, che sono ancora li fonghi con qualche presagio, perché si dice: “anno fongato anno tribolato»”, arrivando a sospettare che il nome di fungo derivi da funus cioè dal dare morte e il boleto da bonum laetum quasi che portando una morte gustosa si possa chiamare buona. Di questa ideologia antifungina è certamente imbevuto anche il bolognese Anton Maria Dalli (metà XVII secolo-Bologna 1710), cuoco “secreto” del duca Francesco Farnese, che nelle sue ricette con la collaborazione di Carlo Giovanelli raccolte nel manoscritto Piciol lume di cucina i funghi trovano ben poco posto, se non i funghi prignoletti e prignoli (prugnoli) sott’olio o secchi usati per esempio nella Minestra di spumarini (uva spina), Minestra di torsi d’indivia, nella Suppa di Prignoli (sott’olio o secchi), Ovi ripieni o in altro modo. Dei meravigliosi funghi boleti o porcini di Borgotaro nessuna menzione. Ritengo quindi che il duca Antonio Farnese, di recente alla guida del Ducato, del quale tutti conosciamo la predilezione se non l’amore per la buona tavola, possa invertire le abitudini e dare il giusto posto al nobile fungo di Borgotaro nella cucina della Corte di Parma, aiutando anche l’economia della sua popolazione.
Reverendo Canonico, ora comprendo bene quali sono le intenzioni che hanno spinto l’ambasciata che ha fatto conoscere al Duca Antonio i boleti di Borgotaro. Ma oltre a essere ottimi sono sicuri? Certamente Lei sa che i funghi velenosi sono un mezzo per eliminare persone indesiderate e nei tempi che corrono … Lei mi intende?
Al giorno d’oggi non abbiamo idee molto chiare sui funghi velenosi e sull’origine della loro tossicità, ma non per quelli sicuri come i boleti di Borgotaro con le loro varietà di porcino autunnale, estivo, moro e nero che nascono nei boschi di faggi, abeti e, a quote inferiori, castagni, all’interno di una foresta che senza interruzioni cresce sino ai confini del Ducato di Parma con la Repubblica di Genova in una zona che va dalla valle del torrente Cogena sino alla località di Montegroppo, nella valle del torrente Gotra. I funghi boleti sono apprezzatissimi fin dai tempi antichi, e apprezzatissimi nel periodo romano e più volte citati da Marco Valerio Marziale (38 o 41-104 d.C.) nei suoi epigrammi. Dai romani il boleto ha anche il nome di suillus, forse perché ricercato e gradito ai maiali, e da noi detto porcino forse anche perché gli individui giovani assomigliano a porcellini grassottelli e sono sicuri quanto buoni.
Reverendo Canonico, nel ringraziarla per la sua accoglienza, ci permetta un’ultima domanda. I funghi amati dagli antichi Romani e negletti negli ultimi secoli, che futuro avranno, iniziando dal Porcino di Borgotaro?
Alcuni hanno definito il fungo “carne diabolica”, ma io la benedico “carne divina”, soprattutto quella del Porcino di Borgotaro. Se l’uso di questi Porcini sulla tavola del duca Antonio servisse a farne conoscere i suoi pregi diffondendone l’uso, credo sia una delle poche volte nelle quali la gola non è un vizio ma una virtù. E questo lo dice un Canonico Pontificio a rischio di essere definito eretico! Se il Borbone Enrico IV di Navarra (1553-1610) per prendere il trono di Francia si è convertito al cristianesimo dicendo Parigi val bene una messa (1594), indicando che vale la pena sacrificarsi per ottenere un alto scopo, spero che il Farnese Antonio possa sacrificare il suo piacere della tavola per far conoscere anche ad altri i pregi dei Porcini di Borgotaro, per assicurare loro il futuro che si meritano.