Il fungo è un organismo di svariate dimensioni, che si distingue dagli altri organismi vegetali per via della mancanza di clorofilla, sostanza che permette la fotosintesi. I funghi si nutrono quindi in altri modi: il parassitismo, il saprofitismo e la simbiosi. Il fungo parassita vive a spese di un altro organismo vivente, quello saprofita si nutre invece di organismi morti o in via di decomposizione. La funzione dei funghi saprofiti è incredibilmente importante, siccome contribuisce alla “morte naturale” delle piante ormai appassite, restituendo al terreno i sali minerali necessari. Il fungo può anche essere parte di una simbiosi, ad esempio con le radici di un albero. Questo scambio è vantaggioso per entrambi: il fungo si nutre dei nutrienti generati dalla pianta tramite la fotosintesi, ma a sua volta cede acqua e sostanze organiche alla pianta stessa, favorendone lo stato di salute.
La struttura di un fungo
Il corpo principale, chiamato tallo, è formato da filamenti, le ife, fittamente intrecciate, che costituiscono l’organismo vegetativo, vale a dire il micelio, parte che rimane nel terreno. Il corpo fruttifero, invece, il carpoforo, è la parte che fuoriesce dal terreno e dissemina le spore. Queste, germinando nel terreno, producono altri miceli, rinnovando così il ciclo biologico.
Le spore altro non sono che i “semi” dei funghi. Il carpoforo può assumere svariate forme ma per la maggior parte presenta la caratteristica forma provvista di cappello, gambo e radice.
Il cappello ha diverse forme (convesso, conico, campanulato…) e nella parte inferiore presenta piccole lamine o tessuto spugnoso. Qui si trova la parte fertile del fungo – l’imenio – dove maturano le spore. Il gambo può essere circondato da un anello nella parte superiore o può essere avvolto, in basso, da una specie di sacca, la volva.
In cucina
In Italia la cucina regionale ha interpretato questo ingrediente in modo fantasioso e originale arricchendo il ricettario nazionale di un numero incredibile di preparazioni assai diverse. La cucina nazionale è una delle poche a prevedere la consumazione del fungo “da solo”.
Per molto tempo la letteratura gastronomica, in riflesso alle abitudini dei consumatori, prendeva in considerazione solo ovuli e porcini. Così scriveva Artusi nel 1908: «ln Firenze si fa un uso enorme di funghi che scendono dai boschi delle circostanti montagne. A lode del vero bisogna dire che la città non è mai stata funestata da disgrazie cagionate da questi vegetali, forse perché le due specie che quasi esclusivamente vi si consumano sono i porcini di color bronzato e gli ovoli. Tanta è la fiducia nella loro innocuità che non si prende nessuna precauzione in proposito». Così nel suo ricettario si propongono ricette realizzabili solo con queste due tipologie.
Le altre specie erano disprezzate e rimanevano ingrediente di una cucina più bassa e popolare.
Elogiatissimi i porcini fritti che ne esaltano il profumo e il sapore. Ma non dobbiamo recuperare le tecniche dei cuochi dell’Ottocento come quelle di Vialardi che cucinava per Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II. La prudenza era significativa: i porcini, che dovevano essere turgidi e appena colti, venivano prima lessati in acqua aromatizzata con prezzemolo, timo, alloro e due cipolle (se diventavano azzurrognole i funghi venivano scartati) e successivamente, superata la prova, venivano asciugati, infarinati e fritti in olio bollente. I porcini sono inoltre i funghi che meglio si prestano ad essere seccati perché una piccola quantità di ingrediente secco trasforma qualsiasi piatto. I boleti, allo stesso modo, si possono cucinare essiccati e in moltissimi altri modi: alla griglia, trifolati, al forno, in terrina ma anche in umido purché non si ecceda con condimenti come creme, panna, besciamella.
Per sintetizzare gli usi in cucina dei Porcini:
- gli esemplari più piccoli sono perfetti sott’olio o mangiati crudi
- gli esemplari adulti si usano alla griglia (le sole cappelle)
- i più maturi possono diventare una ottima frittura oppure arricchire preparazioni di carni o salse.