Le interviste impossibili – A cura di Giovanni Ballarini – Bresadola e il Porcino di Borgotaro fungo dei dinosauri

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BRESADOLA E IL PORCINO DI BORGOTARO FUNGO DEI DINOSAURI

Reverendo Giacomo Bresadola, nel ringraziarla della sua accoglienza qui a Trento dove si è ritirato a vita privata in pensione, in occasione della sua recente nomina a Dottore Honoris Causa in Scienze Naturali dell’Università di Padova, le chiedo come si è sviluppata la sua ricerca sulla micologia, divenendo un Maestro e il più grande micologo italiano.

Inizialmente sono affascinato dai molti caratteri e aspetti dei funghi, ma il momento culminante della mia ricerca inizia quando, e sono stato uno dei primi, mi rendo conto dell’importanza dei loro caratteri anatomici proponendo come necessario fondamento a una rigorosa scienza micologica un grande numero di nuovi caratteri diagnostici. Solo così posso eliminare e collocare in sinonimia numerosissime specie descritte con eccessiva facilità e improvvisazione, eliminando oltre ottocento specie non valide e al tempo stesso descrivendo mille e diciassette specie nuove per la scienza e ben quindici nuovi generi. In questo metodico lavoro aggiungo una vastissima iconografia finissima ed efficace, nella quale esprimo una mia predisposizione artistica. Propizia mi è la nomina a parroco a Magràs in Val di Sole, luogo di boschi e ricco di muschi e licheni, dove Padre Placido Giovanella da Cembra, cappuccino del convento di Malè, mi stimola a uno studio dei funghi che inizia con l’acquisto dei libri di Carlo Antonio Venturi (1805-1864. Studi Micologici, 1842) e di Carlo Vittadini (1800-1865. Monographia Tuberacearum 1831). Determinante mi è anche il contatto con il grande botanico e micologo dell’Università di Padova Pier Andrea Saccardo (1845-1920) con il quale ho una durevole amicizia ed una lunga collaborazione. Lucien Quélet (1832-1899) è un altro dei miei maestri e da lui apprendo la tendenza verso una precisa analisi morfologica. Tramite Saccardo inoltre sviluppo una proficua collaborazione con i più importanti periodici botanici europei e con numerosi micologi. Fra i tanti basterà ricordare Narcisse Theophile Patouillard (1854-1926), Hans (1879-1946) e Paul Sydow (1851-1925), Carlo Massalongo (1852-1928).

Reverendo o Dottor Bresadola – non so come meglio chiamarla – da quel che mi dice comprendo come lei nei suoi lunghi anni di ricerche e studi, sulla base di precisi caratteri anatomici ha dato un quadro generale dei funghi, che altri potranno solo ampliare e perfezionare. Considerato l’interesse gastronomico e quindi economico dei boleti, quale è il suo parere su questi funghi e in particolare di quelli che nascono sull’Appennino parmigiano?

Mi chiami pure Don Giacomo, come fanno i valligiani delle mie terre. I boleti comprendono circa trecento specie di funghi, quasi tutte commestibili, meno il Boletus satanas e il Boletus lupinus, mentre il Boletus calopus è molto amaro. Per i loro caratteri anatomici credo facciano parte di funghi sviluppatesi in fasi relativamente recenti, se accettiamo la Teoria della Evoluzione che Charles Darwin (1809-1882) enuncia nel saggio L’origine delle Specie (1859). Forse lei si riferisce al Fungo di Borgotaro nelle quattro varietà Boletus aestivalis, Boletus pinophilus, Boletus aereus e Boletus edulis, che io non conosco direttamente, ma che mi dicono di un’ottima qualità che deriva dalle condizioni ambientali e climatiche dei boschi appenninici.

Cosa intende, Don Giacomo, per tempi recenti quando parla dell’origine dei Boleti?

Passati sono i tempi nei quali, in mancanza di altri elementi, si credeva che il mondo avesse circa cinquemila anni. Durante le mie frequentazioni presso l’Università di Padova ho appreso che la comparsa dei funghi sulla terra è antichissima e che i boleti sembra siano nati durante il periodo Giurassico, tra duecento e centoquarantacinque milioni di anni fa, e quindi sono coevi ai dinosauri. Questi ultimi sono presenti anche dove poi nascono le Alpi e gli Appennini, come dimostrano le tracce qui da loro lasciate (N. d. I. – L’origine dei Boleti durante il Giurassico è confermata dalla loro genetica – Torda Varga, Krisztina Krizsán, Csenge Földi, Bálint Dima, Marisol Sánchez-García et Alii – Megaphylogeny resolves global patterns of mushroom evolution – Nature Ecology & Evolution, 3, 668–678, 2019).

Boleti coevi ai dinosauri? Quale è la sua opinione?

I dinosauri, un gruppo di animali molto diversificati, dominanti durante l’Era mesozoica, si riteneva fossero lenti, poco intelligenti e a sangue freddo, ma ora, grazie allo studio dei fossili, s’inizia a considerare che fossero animali attivi, con un elevato metabolismo e numerosi adattamenti per l’interazione sociale. I dinosauri erbivori dotati di lunghi colli mangiano fogliame, semi e frutta, quelli di piccole dimensioni e con una dentatura più debole si nutrono di cibi a loro portata come cespugli, erbe varie. Entrambi possono cibarsi anche di funghi.

Don Giacomo, ammettiamo pure che nel Giurassico nei luoghi dove sarebbero poi sorte Alpi e Appennini vi fossero i dinosauri, ma perché questi avrebbero dovuto mangiare funghi come i boleti?

Molto semplice mi è risponderle, dicendole che i boleti, come gli altri funghi, escono fuori dalla terra e con i loro colori e aromi si fanno conoscere per essere mangiati da chi così facendo diffonde le loro spore. Questo certamente fanno i dinosauri, come lo stesso fanno i mammiferi che oggi li sostituiscono e poi buon ultimo l’uomo. Per questo i porcini, ai quali lei allude, sono belli per essere facilmente individuati e al tempo stesso buoni per dare soddisfazione al gusto. Questo mi permette d’immaginare che come oggi il maiale e l’uomo hanno una buona vista per i colori e sono dei buongustai, almeno le specie di dinosauro vegetariane od onnivore lo fossero per i boleti, che hanno belle e buone caratteristiche che risalgono ad almeno duecento milioni di anni fa. Il che non è poco.

Don Giacomo mi ha convinto anche sugli antichissimi pregi gastronomici dei porcini. Nel ringraziarla non mi resta che invitarla a una cena di polenta e Porcini di Borgotaro che le ho portato, seguendo una tradizione che parte dai dinosauri che hanno lasciato le orme delle loro zampe sulle terre già emerse dove si sarebbero formate Alpi e Appennini.