Loading...
Home/Scopri il museo/Intorno al museo: alla scoperta di Borgotaro

Borgo Val di Taro vanta una storia antica e monumenti di particolare interesse. Percorriamo insieme le vie del centro alla scoperta del Borgo.

Il nostro percorso parte dal Museo del Fungo Porcino.

L’itinerario

Ricavato a ridosso delle mura quattrocentesche del paese, fatte realizzare per difesa da Obietto Fieschi, è forse l’edificio più antico del paese. Già visibile in mappe cinquecentesche, faceva parte integrante delle mura difensive ed era collegato al vicino castello da un passaggio denominato “strada delle rotaie militari”. Una volta edificato, dal Settecento risulta di proprietà dei Marchesi Manara, come il contiguo palazzo nobiliare. Passato in proprietà al Pio istituto Manara, dal 1893 fu sede di un asilo infantile gestito dalle suore Vincenziane. Restaurato e aperto al pubblico nel 1994, è divenuto, con il nome di “Museo delle Mura” spazio culturale che ha accolto mostre d’arte, convegni ed eventi. Dal settembre 2022 è sede del percorso espositivo dedicato alla scoperta del Fungo Porcino di Borgotaro.

Edificato nel XVIII secolo dal dottor Alessandro quale portale d’ingresso al vasto podere dei conti Bertucci, un tempo collocato all’esterno delle mura cittadine, oggi l’arco, chiuso tra edifici novecenteschi, sorge a lato di piazza Farnese; di carattere monumentale, conserva l’originaria decorazione a bugnato, l’obelisco e i pinnacoli in pietra sull’architrave.

Palazzo Manara, databile al primo Settecento, con paramento rosso mattone, presenta un bel portale a riquadri bugnati a punta di diamante, in doppia fila, con gigli farnesiani nel timpano e stemma della famiglia. Ricche di ornamenti le finestre con riquadri bugnati ed elegante timpano tondo spezzato per far posto al giglio farnesiano.

Un tempo Via di Mezzo, parallela alla via Nazionale. Qui, nei tempi passati, venivano abbandonati i neonati indesiderati. Ora la nicchia all’interno è murata, ma un tempo era collegata ad una ruota in legno che fatta ruotare permetteva che il neonato non restasse all’aperto e venisse quindi protetto da animali, pioggia o freddo per essere poi affidato alle istituzioni religiose di assistenza.

A metà voltino, sulla destra, si può osservare un numero civico 3, ultimo di quella che fu la più antica numerazione della cittadina, incisa su tavolette di legno e non di marmo o pietra come comunemente diffuso.

Innalzato in stile tardo-rinascimentale verso la fine del XVI secolo forse dalla famiglia Tardiani, e caratterizzato da lesene e cornicioni in pietra, il palazzo divenne in seguito sede dell’ospedale di Santa Maria e Lazzaro di Borgo Val di Taro, gestito dalla confraternita dei Disciplinati; chiuso nel 1948 in seguito alla realizzazione del nuovo nosocomio, fu alienato alla vicina chiesa di Sant’Antonino; caduto in parziale abbandono, fu acquistato negli ultimi anni del XX secolo dalla Comunità Montana Valli del Taro e del Ceno, che nel 1999 ne avviò i lavori di restauro per trasformarlo nella propria sede. Notevoli l’atrio e lo scalone monumentale.

Fu fondata dal Capitolo di Sant’Antonino di Piacenza il 30 marzo 1226 con la facciata rivolta verso l’ex ospedale. Fu successivamente ampliata e riedificata per interessamento dei Farnese (1614-1636) e fu consacrata da Mons. Giuseppe Zandemaria, Vescovo di Piacenza, il 25 settembre 1667.

La chiesa fu ristrutturata nel 1925 con la costruzione della nuova facciata neoclassica in occasione del I° Congresso Eucaristico Valtarese. Al suo interno conserva, nelle otto cappelle, altari monumentali con ancone settecentesche riccamente decorate, varie sculture e numerose pale seicentesche di pregio, in parte provenienti dalla chiesa di San Rocco. Di particolare interesse l’altare monumentale, in legno intagliato e dorato, ricco di elementi ornamentali, angeli, cariatidi e putti, reliquiari e tabernacolo del 1676 con le statue della vergine e di San Giovanni che guardano il crocifisso, risalente al 1460. La cantoria barocca ospita un grande organo, realizzato nel 1795 dalla famiglia Serassi.

Eretto nel XII secolo, probabilmente dal Comune di Piacenza, passò nel 1243 ai Fieschi, ma nel 1257 fu conquistato dai Landi, che ne mantennero quasi ininterrottamente il possesso fino al 1414, quando i Fieschi se ne riappropriarono; espugnato nel 1429 dalle truppe di Filippo Maria Visconti, fu concesso a Niccolò Piccinino, che lo ampliò e rinforzò; riassegnato a Obietto Fieschi nel 1444, nel 1477 fu occupato da Manfredo Landi col favore di Galeazzo Maria Sforza; riconquistato dai Fieschi nel 1488, fu completamente ricostruito e notevolmente rinforzato su progetto del maestro Martino da Lugano. Espugnato da Pier Luigi Farnese in seguito al fallimento della congiura di Gianluigi Fieschi del 1547, dopo l’uccisione del Duca fu occupato dalle truppe imperiali guidate da Ferrante I Gonzaga e assegnato nel 1551 ad Agostino Landi, che fece abbattere la cinta muraria del paese danneggiando anche il castello; espugnato nel 1578 da Ottavio Farnese chiamato dai borghigiani ribellatisi ai Landi, fu rinforzato nel 1610 ma nuovamente occupato per alcuni mesi nel 1636 da Giovanni Andrea II Doria, marito di Maria Polissena Landi. Perse nel tempo le originarie funzioni difensive, il maniero fu più volte modificato e adibito prima a sede carceraria e successivamente a palazzo comunale; demolito nel 1926 nella porzione orientale per consentire la realizzazione della strada di circonvallazione del centro storico, nel 1936 fu parzialmente abbattuto con lo scopo di costruire sulle sue macerie la “Casa del Fascio” di Borgotaro, ma i lavori furono interrotti dallo scoppio della Seconda guerra mondiale e riavviati solo nel 1952, con l’edificazione, sulle macerie, della nuova “Casa del Fanciullo”, iniziata nel 1962 e inaugurata nel 1965; oggi del castello si conserva soltanto la base dell’antica torre prospiciente piazza XI febbraio, riscoperta e restaurata verso la fine del Novecento.

Inaugurato dalla comunità di Borgotaro il 15 ottobre 1972 a fianco della “Casa del Fanciullo” è costituito da un semplice pilastro in arenaria con capitello sormontato da un busto in bronzo di Angelo Maria Roncalli (1881-1963) eletto papa col titolo di Giovanni XXIII il 28 ottobre 1958.

Lo stretto borgo che fiancheggia Palazzo Tardiani permette di osservare, dal cancello di un cortiletto, il loggiato di casa Moglia con archetti in cotto goticheggianti e coronamento di gusto romanico, trasformato nel XVIII secolo. Conduce a Piazza La Quara, suggestivo spazio ad anfiteatro che si apre fra le case e che accoglie concerti e manifestazioni culturali, fra cui spicca il “Premio La Quara”, concorso letterario per storie brevi istituito nel 2013 e organizzato dall’Istituto Manara in collaborazione con l’Amministrazione comunale e il sostegno di Fondazione Monteparma.

Eretto nel 1711 e poi trasformato in stile neoclassico, l’edificio, un tempo proprietà della nobile famiglia dei marchesi Manara, fu donato agli inizi del XIX secolo all’Opera Pia Manara, fondata per lascito testamentario dell’abate Domenico Manara. Oggi sede comunale, ospita nel porticato sulla facciata principale prospettante la piazza una serie di targhe commemorative in marmo (poste un tempo sulle mura del castello) che ricordano cittadini illustri: l’esploratore Vittorio Bottego (1860-1897); l’abate Domenico Manara (1747-1813) con il busto, opera del borgotarese Giuseppe Castagnoli; il patriota Francesco Basetti (1791-1825) morto per l’indipendenza della Grecia e il senatore Marcello Costamezzana (1812-1874). Al suo interno si trova inoltre la biblioteca intitolata a Prospero Valeriano Manara, fondata nel 1826, che conserva alcuni incunaboli e numerosi volumi del XVI, XVII e XVIII secolo. Prospero Valeriano Manara (1714-1800), nato a Borgotaro, poeta e statista, personaggio di rilievo nella Parma del Settecento fu poeta dell’Arcadia (con il nome di Tamarisco Alagonio), tradusse le Bucoliche e le Georgiche di Virgilio, fu Primo Ministro del Ducato dal 1781 al 1787, quando per sua volontà decise di ritirarsi a vita privata.

Attraversando l’atrio verso via Cesare Battisti, sulla sinistra si scorge il busto in bronzo del senatore Gino Cacchioli (1925-1981), comandante partigiano “Beretta”, fondatore del movimento partigiano nella Vallata del Taro, opera della scultrice parmigiana Jucci Ugolotti (1944-), scoperto nel 1991.

Sede di una delle più antiche istituzioni del Borgo: la Società Operaia di Mutuo Soccorso “Matteo Renato Imbriani”, fondata il 23 agosto 1874 ed intitolata al politico napoletano (1843-1901) esponente di spicco del Partito Radicale storico, nel 1909. L’edificio, inaugurato nel 1912, venne interamente costruito dai soci e reca in facciata due targhe monumentali in marmo di Carrara, sormontate dalla stella a cinque punte, emblema dell’Italia unita, con i simboli della mutualità e il ritratto dell’Imbriani a destra e con i soci Caduti durante la Prima guerra mondiale, l’aquila con spada e moschetto, la corona di quercia (forza) e di alloro (gloria) a sinistra, posate il 24 aprile 1921.

Edificata originariamente tra il 1449 e il 1498 da Nicolosio Costerbosa in forme gotiche, a tre navate con archi ogivali sostenuti da dieci colonne di pietra, la chiesa con annesso convento dei domenicani (stemma sul portale), fu ristrutturata in stile barocco nel 1674. In essa numerose casate borgotaresi avevano il proprio sepolcro di famiglia.

Incamerata dal Comune di Borgo Val di Taro in seguito ai decreti napoleonici sulla soppressione degli ordini religiosi del 1805, fu restaurata tra il 1939 e il 1942, riportando alla luce l’originaria veste gotica degli interni che presentano, nel presbiterio e nelle cappelle, numerosi dipinti di pregio risalenti al XVII e XVIII secolo, due altari monumentali con ancone settecentesche riccamente decorate, alcune pitture coeve, statue e un affresco staccato cinquecentesco.

Ingentilito da due portali in arenaria bugnati, è databile al XVII secolo. Nel 1836 accolse la Duchessa Maria Luigia in visita a Borgotaro. Ancora abitato dai discendenti degli Albertoni Picenardi, conserva quadri, affreschi, mobili dei secoli passati ed un ricchissimo archivio di quella che fu una delle più insigni famiglie del Borgo, che nei secoli annovera, fra i suoi membri, religiosi, uomini d’arme, pittori, musicisti, letterati e poeti.

Monumento eretto in occasione del passaggio della principessa Elisabetta Farnese (1692-1766), che il 23-24 settembre 1714 sostò a Palazzo Boveri durante il viaggio verso la Spagna per raggiungere il consorte Filippo V di Borbone. Venne inaugurato nel 1721, è opera dello scultore Giuliano Mozzani (ante 1690-1734) che ne ha curato il ritratto nell’ovale in marmo. L’epigrafe venne dettata dal marchese Fanti, Ministro di Stato ed era affiancato da due stemmi. Solo quello del Comune, con il simbolo della torre, è sopravvissuto. Eretto in origine nella piazza del castello di Borgotaro, venne trasferito nei giardini pubblici nella prima metà del Novecento.

Il monumento ai Caduti della Prima guerra mondiale di Borgo Val di Taro, progettato dall’architetto parmigiano Mario Vacca (1887-1954) nel 1927, si innalza al centro del parco, su un rialzo artificiale del terreno di forma circolare, attorniato da una piccola siepe in bosso e con quattro gradini che permettono di salire al livello del basamento. Sul terreno in pendio sono collocate numerose lastre marmoree che portano incisi i nomi di tutti i Caduti del Comune. Il basamento è costituito da un parallelepipedo di marmo bianco sulle cui quattro facce sono posate le targhe che recano incisi i nomi dei Caduti per la Patria, raccolti e ordinati cronologicamente da P. Boselli. Sopra il basamento, sul lato frontale, è posata una lampada votiva in bronzo sostenuta da un alto treppiede. La parte alta del monumento è costituita da due alte colonne marmoree scanalate che si concludono con un capitello dorico e che sostengono un pesante architrave recante altre iscrizioni e una mensola che regge, infine, la lupa capitolina in bronzo allattante due gemelli.

Databile al XVIII secolo, presenta un ricco portale a bugnato a punta di diamante in doppia fila in arenaria locale e riquadrature, sempre a bugnato alle finestre, sia del piano nobile che del sottotetto.

Innalzato nel XVII secolo, nel 1714 il palazzo fu arricchito con fastose decorazioni barocche – arabeschi, volute, lo stemma farnesiano e del Comune e, sopra le finestre del piano nobile, quelli delle famiglie Boveri, Manara, Picenardi che avevano contribuito agli abbellimenti in vista del passaggio della duchessa Elisabetta Farnese, che vi pernottò per due notti, il 23-24 settembre, durante il viaggio verso la Spagna per raggiungere il consorte Filippo V di Borbone.

Sempre in facciata, sotto i davanzali delle finestre del piano nobile, sono presenti alcune raffigurazioni che rimandano ai prodotti del territorio, verosimilmente serviti durante il banchetto in occasione della visita di Elisabetta: da sinistra, un cane da “penna” che punta un volatile purtroppo scomparso; un segugio che sta inseguendo la selvaggina; le trote e le anguille del Taro, i cereali e i prodotti della terra.
Il palazzo, che un tempo appartenne alla nobile e potente famiglia Misuracchi, presenta un cortile con bella gradinata ed elegante loggiato settecentesco con soffitto a vele.

Lungo la scala, altorilievo di Giuliano Mozzani in marmo di Carrara con l’Annunciazione e l’Assunzione al cielo della Vergine riuniti, insolitamente, in un’unica scena. All’interno, alcune sculture, numerosi affreschi coevi e un grande camino con lo stemma dei Fieschi (primi proprietari dell’immobile) affiancato da due dragoni, opera di un artista ligure del primo Cinquecento.
Danneggiato sul fianco dai bombardamenti del 3 agosto 1944, è stato completamente restaurato a partire dal 2001; l’edificio conserva sulla facciata gli sfarzosi stucchi settecenteschi in cocciopesto, tipico esempio delle scenografie e dei fasti principeschi di epoca barocca.

Agli angoli le “Quattro Stagioni” riconducili ad Alessandro Gherardini (1655-1726), buon pittore fiorentino che lavorò per molto tempo a Borgotaro.

Edificato verso la fine del XVII secolo dalla famiglia Bertucci nei pressi della più antica porta d’accesso al borgo, il palazzo fu visitato in più occasioni dal duca Ferdinando di Borbone e da sua moglie Maria Amalia d’Asburgo-Lorena nella seconda metà del XVIII secolo e una targa li ricorda sullo scalone monumentale. Interessante il loggiato nel cortile interno, poggiante su colonne monolitiche di arenaria locale e il portale dominato dallo stemma della famiglia. al suo interno presenta vari ambienti decorati con affreschi rappresentanti scene mitologiche, eseguiti nei primi anni del XVIII secolo da vari autori, tra i quali probabilmente Antonio Boni, Antonio Contestabili e Alessandro Gherardini.

Nel soffitto del salone: “Bacco incontra Arianna addormentata nell’isola”, con il carro trainato dai leopardi, i grappoli d’uva, i Satiri e le Baccanti che accompagnano Bacco e la testa del Minotauro a ricordo dell’aiuto dato da Arianna a Teseo. Nella sala accanto “Venere che allatta Amore, assistita dalle tre Grazie”; nella sala contigua, nella volta, “Giunone, colpita dai dardi di Cupido viene condotta all’Olimpo”, ove siede Giove attorniato da altre divinità. Nell’ultima sala, “Aurora che rapisce Cefalo” con la raffigurazione del vecchio Titone, sposo di Aurora, per il quale aveva chiesto a Giove l’immortalità, ma non |’eterna giovinezza.

Una delle porte di accesso al borgo murato di Borgo Val di Taro, prospettante il fiume.

Fin dalla fine dell’Ottocento, sede del mercato settimanale del fungo: dalle montagne limitrofe scendevano uomini e donne con le federe bianche colme di porcini essiccati che si ritrovavano qui per la compravendita del prezioso frutto dei boschi.

Innalzata originariamente in forme rinascimentali nel 1542, la chiesa, con annesso monastero agostiniano, fu completamente ricostruita in stile barocco nella prima metà del XVIII secolo; chiusa al culto in seguito ai decreti napoleonici sulla soppressione degli ordini religiosi del 1805, fu dapprima trasformata in lazzaretto per malati di colera, poi adibita a stalla da bestiame e nel 1897 alienata al Comune di Borgo Val di Taro. Utilizzata quale carcere per i prigionieri austriaci durante la prima guerra mondiale, nel 1923 fu acquistata da un comitato di cittadini e riaperta al culto; nuovamente dotata di arredi e paramenti sacri, fu completamente restaurata e decorata a partire dal 1980; al suo interno conserva quattordici pregevoli Stazioni della Via Crucis, dipinte verso la metà del XVIII secolo da Gaspare Traversi (1722-1770).

Galleria fotografica di Borgotaro