La Storia
Fin dalla preistoria – come testimoniato dai reperti conservati al Museo Archeologico di Parma – i funghi entrano nell’alimentazione del popolo delle Terramare.
I funghi erano conosciuti per le loro caratteristiche organolettiche già nell’antica Roma dove se ne facevano largo consumo, in particolare nei banchetti imperiali dei “Cesari”. Ne è prova il nome di Amanita Caesarea attribuito all’ovulo buono, considerato fin da allora fra i più prelibati.
Anche il Porcino di Borgotaro vanta una fama gloriosa in cucina, apprezzato dai duchi Farnese – nel 1606 il nobile borgotarese Flaminio Platoni invia “trifole secche” a Ranuccio I – impiegato magistralmente dal cuoco Carlo Nascia (XVII-XVIII sec.) nel trattato Li quattro banchetti alla Corte di Parma. Tra le primissime fonti che fanno riferimento alla raccolta di questo fungo vi è un testo del XVII secolo, L’Istoria di Borgo Val di Taro, opera del canonico pontificio Alberto Clemente Cassio (1669-1760) che ricorda: «… la terra di questi monti partorisce… nell’autunno inodorati boleti… [essi] sono di non tenue vantaggio alle donne, che li raccolgono e vendono e, conditi con sale, li trasmettono ad altri Paesi».
I Boleti sono oggetto di commercio con l’estero, pratica che è ancora ben presente sul finire dell’Ottocento, ad opera dei numerosi montanari costretti ad emigrare verso l’America o l’Inghilterra. I Porcini sono una risorsa per l’economia: le donne li raccolgono e li vendono freschi o secchi ai paesi vicini. Sempre nello stesso secolo Lorenzo Molossi (1795-1880), economista e geografo parmigiano, parla di funghi nel suo Vocabolario topografico.
Del 1893, invece, è il libro di Tommaso Grilli Manipolo di cognizioni con cenni storici di Albareto di Borgotaro, nel quale si parla in maniera diffusa di raccolta e produzione di funghi: «quando comparisce questo vegetale carnoso, quasi tutte le famiglie vi attendono per raccoglierne quanto più possono con tutta la cura; e tagliato in fette sottili lo fanno seccare al sole, oppure al calore della fiamma del fuoco nelle cucine, e dopo lo vendono per lo più ai mercanti di Tarsogno che lo trasportano a Genova». Alla fine dell’Ottocento a Borgo Val di Taro, prima il dr. Colombo Calzolari e poi Lazzaro Bruschi, iniziarono l’attività di lavorazione – secco, sott’olio e fresco – e commercializzazione dei Porcini.
Nel 1928 venne pubblicato a Borgo Val di Taro il regolamento per il mercato dei funghi, probabilmente il primo in Italia. Anche a Bedonia nel 1920 ha inizio con buoni risultati e per molti anni l’attività di lavorazione di funghi Porcini conservati presso la ditta “La Mirtillo”, voluta da Primo Lagasi con la collaborazione di Colombo Calzolari.
Nel 1964 il Consorzio delle Comunalie Parmensi istituiva una riserva per la raccolta sostenibile dei funghi. Il riconoscimento di Indicazione Geografica protetta giunse nel 1996.
L’interesse per questo alimento è ad oggi sempre molto vivo, sia per il pregio dei suoi profumi e sapori che per la sua importanza gastronomica, valorizzata dai ristoranti del territorio.